Angelo custode

Ad accorgersi del pedofilo (e a incastrarlo) è stato l'algoritmo di Google

Un 30enne è stato condannato 8 anni di reclusione dopo che il più celebre motore di ricerca del mondo ha fatto partire la segnalazione.

Ad accorgersi del pedofilo (e a incastrarlo) è stato l'algoritmo di Google
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Per fortuna stavolta l'abietto individuo di turno s'è dimostrato davvero molto poco intelligente. Aveva impostato il salvataggio automatico con "Google foto" e quando scattava col cellulare i suoi aberranti "trofei", le immagini si salvavano automaticamente in nel cloud Drive di Google, al quale le foto pedopornografiche per buona sorte non sono sfuggite.

Ad accorgersi del pedofilo è stato l'algoritmo di Google

Un algoritmo di Google nei panni di un angelo custode, anzi, meglio di una squadra di investigatori. Per tutti coloro che vivono l'avvento della tecnologia come qualcosa di preoccupante, destinato a "non portare nulla di buono", ecco un'emblematica vicenda di cronaca che implica una riflessione su quanto questi strumenti possano fare la differenza, se ben programmati. A Tradate, in Lombardia, i video e le foto degli abusi sessuali su una ragazzina minorenne ripresi con il cellullare e salvati automaticamente sul cloud, sono stati scoperti grazie agli algoritmi di Google, come racconta Prima Saronno.

Il responsabile è stato condannato a 8 anni e a un risarcimenti di 10mila euro.

Pedopornografia e violenze salvate nel cloud

Le accuse, confermate dal Gup di Milano sono pesanti: detenzione e produzione di materiale pedopornografico e violenza. La pena, al termine di rito abbreviato, ammonta a 8 anni e impone anche un risarcimento di 10mila euro verso la sua vittima. L'uomo, un trentenne romeno, era stato scoperto nel 2020 grazie agli algoritmi di Google che hanno scandagliato i file archiviati nel cloud dai propri iscritti facendo emergere oltre 3 milioni di contenuti pedopornografici e bloccando (e segnalando al National Center for Missing and Exploited Children) circa 100mila utenti. Una di queste segnalazioni riguardava proprio l'imputato.

Una "nuvola" sporca

La segnalazione si è subito tradotta in indagine. Nel suo cloud è stato rinvenuto materiale pedopornografico scaricato da internet e dal dark web ma anche video e foto che lo vedevano protagonista insieme alla minorenne abusata e immortalata col suo smartphone. Video e immagini che salvate sul cellulare sono finite immediatamente e in automatico nel cloud. Inchiodandolo alle sue responsabilità.

Il cloud è una “nuvola” di dati e servizi sempre accessibile a chi abbia una connessione internet, da qualsiasi dispositivo. Sincronizza tutti i file in un unico posto virtuale, nel quale vengono duplicati in più data centers, cioè edifici talvolta immensi dove sono ospitati centinaia e anche migliaia di server. Gli aggiornamenti sono automatici, anche in caso di guasti tecnici o attacchi di hackers ai server di un data center, i dati sono salvi perchè duplicati più volte in più sedi geografiche diverse. La comodità è data dal non essere obbligati a portare con sé hard disk esterni o pen drive USB.

Nel mirino anche le ricerche sospette

Il motore di ricerca più famoso del mondo, consapevole di essere involontario strumento di ricerca di materiale pedopornografico, ha messo in atto una serie di strumenti per dichiarare lotta al fenomeno.

"Google si impegna a combattere il materiale pedopornografico (CSAM) online e a impedire che le nostre piattaforme vengano utilizzate per diffondere questo tipo di contenuti. Investiamo molto sulla lotta contro lo sfruttamento dei minori online e usiamo la tecnologia di nostra proprietà per scoraggiare, rilevare e rimuovere le trasgressioni sulle nostre piattaforme", fa sapere big G.

E come dimostra questa vicenda, gli strumenti in campo, a volte si dimostrano molto efficaci, pur non avendo anima. A far partire il tutto, infatti, è stata proprio la segnalazione dell'algoritmo.

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