La rete di Libera e l’impegno antimafia
Nata nel 1995 dall’intuizione di Don Luigi Ciotti, Libera ha festeggiato quest’anno il suo trentesimo anniversario. Non è un’associazione singola, ma una vasta rete che riunisce migliaia di realtà italiane accomunate da un obiettivo: contrastare la criminalità organizzata e promuovere una cultura della legalità.
Come hanno ricordato Andrea Vignoli e Valentina Avvento, Libera opera su più livelli. Le associazioni possono entrare nella rete condividendone i valori, ma anche i singoli cittadini possono aderire ai presidi locali, attivi in molte province, compresa Alessandria. L’idea alla base è che la mafia riguardi tutti, non solo chi se ne occupa direttamente: dalle aziende alle associazioni culturali, nessuno può dirsi estraneo al fenomeno.
Negli ultimi vent’anni, infatti, anche il Nord Italia è diventato terreno fertile per riciclaggio e attività illecite, con un radicamento sempre più evidente nei settori immobiliari ed economici. Da qui la necessità di coinvolgere scuole, istituzioni e comunità locali in un lavoro di formazione e sensibilizzazione che vada oltre la repressione penale.
Libera si propone come punto di riferimento per questo percorso, dimostrando che l’antimafia non è solo memoria, ma anche costruzione quotidiana di cittadinanza attiva e responsabile.
Parcival e Cascina Saetta
C’era un tempo in cui a Bosco Marengo, in provincia di Alessandria, una cascina era il fulcro di attività criminali: ricettazione, traffici e latitanti trovavano rifugio tra quelle mura. Oggi, lo stesso luogo porta un altro nome, Cascina Saetta, dedicata al giudice Antonino Saetta e al figlio Stefano, uccisi dalla mafia nel 1988.
Il bene, confiscato e caduto in rovina negli anni, è stato recuperato dall’associazione Parcival, guidata da Valentina Avvento, con il sostegno della rete Libera. Dove prima regnava l’illegalità, ora si svolgono campi estivi di formazione, incontri con magistrati, testimoni e familiari delle vittime, oltre a numerose attività di autofinanziamento e socializzazione.
Negli ultimi anni Cascina Saetta ha ospitato i campi di Libera più grandi d’Italia, coinvolgendo centinaia di giovani da tutta la penisola. Una testimonianza concreta che i beni confiscati possono rinascere, diventando risorse per la collettività.
L’esperienza di Bosco Marengo dimostra che il cambiamento è possibile: un terreno che sembrava destinato all’abbandono si è trasformato in simbolo di speranza. “Noi siamo di più della mafia”, ripetono i volontari, e Cascina Saetta lo conferma ogni giorno.
Beni confiscati e difficoltà di riutilizzo sociale
La provincia di Alessandria conta attualmente una quindicina di immobili confiscati e già assegnati ai comuni, oltre a numerose particelle catastali e aziende in attesa di destinazione definitiva. Un patrimonio enorme, ma non sempre facile da gestire.
Come emerso durante la puntata, i sindaci si trovano spesso davanti a ostacoli concreti: burocrazia complessa, costi di ristrutturazione elevati e bilanci comunali sempre più ridotti. Non è semplice trasformare una villa di lusso appartenuta a un boss in un centro di aggregazione o in una struttura sociale senza adeguati interventi.
Tuttavia, esempi come Cascina Saetta mostrano la strada: grazie ai fondi regionali e all’impegno delle associazioni, anche un bene apparentemente inutilizzabile può diventare fulcro di educazione e cittadinanza attiva. La Regione Piemonte ha già avviato programmi di sostegno, finanziando opere di recupero e favorendo l’assegnazione dei beni.
Se gestiti con visione e collaborazione, questi spazi possono trasformarsi in cooperative agricole, centri culturali o progetti di inclusione lavorativa per i giovani. La sfida ora è non lasciare che case, cascine e aziende confiscate tornino all’abbandono. Perché da luoghi di mafia possano nascere nuove opportunità di comunità.