Ospite a Filo Diretto, il vicesegretario regionale del Sappe (Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria) Demis Napolitano smentisce i rumors su una trasformazione dell’istituto alessandrino in carcere di massima sicurezza.
Nessuna conferma sul 41 bis
Le voci circolate nei giorni scorsi hanno creato allarme in città. A smentire le indiscrezioni ci pensa direttamente Demis Napolitano, vice segretario regionale del Sappe e agente con trent’anni di servizio alle spalle nel carcere di San Michele. “Non esiste alcuna comunicazione del Ministero della Giustizia che confermi la conversione dell’istituto in carcere di massima sicurezza”, spiega.
Le voci sarebbero nate dall’osservazione di alcuni lavori interni alla struttura, “ma si tratta di normali interventi di manutenzione”, chiarisce Napolitano.
Anche il sindaco di Alessandria, Giorgio Abonante, ha chiesto chiarimenti al sottosegretario Delmastro, ma al momento non sono arrivate risposte ufficiali.
L’eventuale arrivo di detenuti al 41-bis cambierebbe radicalmente l’organizzazione del lavoro per gli agenti, ma al momento l’ipotesi rimane priva di fondamento. “Fino a nuove disposizioni ministeriali, il carcere di San Michele resta quello che è: una struttura ordinaria con le sue criticità, ma senza progetti di massima sicurezza”, conclude Napolitano.
Carceri alessandrine in affanno
Il problema non è nuovo, ma sembra aggravarsi ogni anno: mancano decine di agenti e molte strutture non sono più adeguate.
Al carcere Don Soria, in pieno centro ad Alessandria, oltre la metà degli spazi è chiusa o inutilizzabile. Le condizioni sono tali che il sindacato propone da tempo di chiudere la struttura e spostare tutto al San Michele, magari costruendo una nuova ala.
L’istituto di San Michele, invece, soffre per la carenza cronica di personale: mancano 25-30 agenti, oltre a educatori e operatori tecnici.
Nonostante gli ultimi concorsi, le nuove assunzioni compensano appena i pensionamenti. In tutto il Piemonte l’aumento è stato di appena 70 unità, cifra simbolica rispetto ai bisogni reali.
Napolitano invoca una visione organica: “Meglio un solo istituto moderno e funzionante che due carceri a metà”. Il messaggio è chiaro: senza investimenti strutturali e una gestione del personale più efficiente, la tenuta del sistema penitenziario alessandrino resta appesa a un filo.
Il carcere come luogo di rinascita
Nel racconto di Demis Napolitano emerge il volto umano del carcere, spesso lontano dai riflettori. Gli agenti non sono solo custodi: ogni giorno si trovano ad affrontare fragilità, disperazione e disagio psicologico.
Molti detenuti, spesso stranieri e senza famiglia, vivono momenti di profonda crisi, fino a compiere gesti di autolesionismo. “Non spetta alla Polizia fare da psicologo, ma spesso siamo noi i primi ad accorgerci del dolore”, spiega l’agente.
Il problema è la mancanza di figure specializzate, dagli educatori agli psicologi, che potrebbero offrire percorsi di recupero e ridurre la recidiva. Napolitano insiste sulla necessità di progetti formativi e lavorativi che diano ai detenuti un futuro diverso. L’esperienza dimostra che chi impara un mestiere o studia durante la detenzione ha molte meno probabilità di tornare a delinquere.
Anche per gli agenti, però, serve più supporto: il rischio di stress e burnout è alto, e i programmi di assistenza psicologica sono ancora insufficienti.
Dietro il muro del carcere, dunque, non c’è solo punizione, ma anche la fatica quotidiana di chi prova a rendere più umano un luogo di pena.