Vi siete abbuffati, ora il quiz: sapete quali sono i piatti tipici a Natale nelle varie regioni?
Insieme al dietologo televisivo Marco Missaglia, una carrellata sugli alimenti tipici dei banchetti delle feste.
Nel periodo natalizio non mancano le occasioni per ritrovarsi intorno alla tavola imbandita. Le cosiddette abbuffate natalizie avevano nei tempi passati anche un significato ancestrale, quasi per esorcizzare la miseria, l’idea della povertà e l’incertezza del futuro. Vediamo ora di tracciare in breve, insieme al dietologo lariano Marco Missaglia (protagonista in diversi programmi televisivi, come vedete dalla copertina), una carrellata su quelli che sono gli alimenti tipici dei banchetti natalizi in Italia e in particolare in Lombardia.
I piatti tipici di Natale
In Italia centrale la tradizione vuole che si inizi con la cena di magro della vigilia i cui primi piatti derivano dalla tradizione contadina e sono a base di cereali e legumi. Tra di essi merita menzione “l’imbrecciata”, una zuppa di recupero a base di tutti i cereali disponibili in dispensa: grano, orzo, farro, e con i legumi: ceci (nella varietà bianca rossa e nera), fave, fagioli, e lenticchie. La zuppa viene poi insaporita con battuto di lardo e cipolla e conserva ancor oggi il significato di piatto propiziatorio di fine anno. Dal punto di vista nutrizionale questo piatto può essere considerato un piatto unico, infatti oltre agli zuccheri complessi dei cereali si ritrovano anche le proteine dei legumi, che pur avendo un valore biologico inferiore a quello delle proteine animali (per esempio della carne) se accompagnate ai carboidrati apportano tutti i nutrienti normalmente contenuti in una costata di manzo.
Rimanendo in Italia centrale in questo periodo tradizionalmente si mangiano le lenticchie (325 kcal/etto di prodotto). Famose quelle di Castelluccio di Norcia, molto piccole e dal gusto dolce e delicato. Le lenticchie costituiscono una fonte di proteine, gradite anche ai vegetariani!
Spostandoci in Romagna vi è la consuetudine di assaporare i cappelletti in brodo, e in particolare è noto il piatto della vigilia detto “cappelletto del goloso” (caplett de lov) dove, nascosto tra i cappelletti normali si cela un cappelletto più grosso e con più ripieno. Fortuna propizia e prosperità per tutto l’anno a chi lo trova nel piatto. Questo ricorda l’antica consuetudine secondo la quale si riservava al capofamiglia questo grosso tortello con tanto ripieno come segno di riconoscenza. I tortellini, piatto presente anche nella tradizione lombarda, sono di fatto una piatto completo, perché ai carboidrati della pasta uniscono il pieno proteico sia di carne che di magro (per esempio ricotta e ortaggi). Un etto di tortellini apporta circa 320kcal, se freschi, 390, se secchi.
Altro piatto nazionale, ma che vede in Romagna, e precisamente a Comacchio, la sua zona geografica tipica è il capitone. Originario del Mar dei Sargassi risulta essere un alimento molto calorico a causa dell’elevata concentrazione di lipidi, che però sono acidi grassi polinsaturi, comunemente noti come Ω3, quindi dotati di caratteristiche protettive per il nostro cuore e le nostre arterie. Pur apportando non poche calorie possiamo concedere questo piatto alle tavole natalizie, anche se con moderazione. La lavorazione prevede di tagliare a pezzi l’anguilla, e di marinarla con l’alloro, prima di cuocerla. La cottura contribuisce a far perdere il grasso.
Al sud invece durante le feste di Natale non può mancare sulle tavole imbandite il frutto del melograno, che assume significato simbolico di buon auspicio. Dentro ai colori intensi del frutto si nascondono proprietà depurative ed anti-ossidanti date dagli antociani, come pure proprietà protettive dalle parassitosi intestinali.
Un dolce che dalle tavole siciliane è ormai entrato a far parte delle tradizioni natalizie nazionali è senza dubbio il marzapane. Questo dolce, fatto di zucchero, miele di fiori d’arancio e mandorle amare e dolci di Avola, è però piuttosto calorico e sconsigliato per chi ha problemi di diabete.
Uno sguardo in Lombardia
La tradizione lombarda invece vede come piatto tipico della vigilia di Natale la trippa in brodo. Questa consuetudine, tipica della Brianza e che ha origini nel mondo contadino, prevede che dopo la Messa di mezzanotte tutta la famiglia si ritrovi per consumare insieme questo pasto. È una tradizione tanto fondata nelle nostre zone, che è stata negli ultimi anni addirittura codificata dalla Regione Lombardia, facendo ricorso anche al nome in vernacolo “Busechin della vigilia”.
Sempre parlando di tradizioni lombarde, per quanto riguarda la Valtellina, sebbene non abbia in realtà un piatto natalizio ufficiale, tuttavia questa terra si affida alle paste rustiche che l’hanno resa famosa in tutt’Italia, primi fra tutti i pizzoccheri (anche se la tradizione vuole che i veri pizzoccheri arrivino fino a Teglio, mentre nei paesi più interni della Valtellina si consumino altre paste ottenute mischiando farina bianca alla farina di grano saraceno e alla crusca). Piatti di origine antichissima sono ancora gli sciatt e i tarozz, che in genere vengono consumati durante le festività. Dopo questi primi piatti sostanziosi, in genere il pranzo natalizio prosegue con salumi di cervo o capriolo (notissima la slinzega e la cosiddetta “carne salata” o bresaola). Se gli insaccati con il grasso in grana visibile (come il salame) apportano una notevole quantità di acidi grassi saturi, che solo occasionalmente possiamo tollerare, la bresaola invece appare indicata anche per l’alimentazione dei più piccoli, non presentando un contenuto elevato in grassi, essendo un’ottima fonte di proteine nobili ad alto valore biologico, oltre che una fonte di ferro e vitamina B12.
Piatto nazionale natalizio è sicuramente il cappone, che però nella tradizione lombarda e lecchese in particolare non si consuma arrosto, come in genere nell’Italia centrale, bensì bollito. Il cappone lesso consente di ottenere a parte un brodo particolarmente carico (oggi diremmo da sgrassare opportunamente!), che le nostre nonne riservavano ai più piccoli, viene in genere accompagnato da cipolle in agrodolce e alcune mostarde. A seconda del contenuto in grasso il cappone ci da dalle 110 alle 120 kcal/etto di prodotto.
Sempre per restare in Lombardia, particolarmente indicate sono le mostarde mantovane, ottenute da mele piccole e acerbe e con un contenuto molto basso di senape.
Sempre nelle tradizioni gastronomiche che iniziano a Natale e continuano col cenone di fine anno non si possono tralasciare il cotechino e lo zampone. Quest’ultimo accompagnato dalle immancabili lenticchie, dal significato ben augurale di prosperità e ricchezza, apporta circa 360 kcal per etto di prodotto. Il cotechino è costituito almeno per il 35% da grassi, e a seconda del contenuto di questi ultimi apporta dalle 390 alle 450 kcal per etto di prodotto. Immaginando un piatto medio di cotechino e lenticchie abbiamo un apporto calorico di circa 900 kcal. È un piatto completo, che apporta proteine ad alto valore biologico, anche se appare decisamente squilibrato a favore dei grassi saturi. Semel in anno…
Altri piatti che fanno comparsa tradizionalmente nelle feste di fine anno sono il salmone, ricco di Ω3 (acidi grassi polinsaturi amici delle nostre arterie), ma che apporta se affumicato 180 kcal/etto di prodotto; la carne di agnello (120 kcal/etto); la carne di oca o anatra, molto prelibata, ma assai calorica (170 kcal/etto); fra gli insaccati natalizi attenzione al lardo: il rinomato prodotto valdostano o di Colonnata, sulle colline sopra Carrara, apporta 890 kcal/etto di prodotto!!!
Attenzione ancora al mascarpone, usato per guarnire il panettone o il pandoro, apporta 450 kcal per etto di prodotto.
Si aggiunga poi che la maionese base per l’insalata russa, immancabile antipasto sulle tavole italiane, apporta 655 kcal/etto.
Un occhio anche alla frutta secca e disidratata. I fichi secchi ci regalano 240 kcal per etto di prodotto; le mandorle dolci forniscono 540 kcal/etto; le nocciole 625 kcal/etto e le noci, importanti fonti di acidi grassi polinsaturi e di acido oleico, importanti antiossidanti naturali, ci regalano 660 kcal/etto.
Per quanto riguarda i dolci, certo non c’è pranzo o cena natalizia che non si chiuda con una fetta di panettone o di pandoro. I “puristi” vorranno certamente il meneghino panettone, il cui nome pare che derivi da “pan del Toni”, il servitore di Ludovico il Moro che inventò questo dolce destinato a diventare uno dei simboli gastronomici di Milano, tanto che è stato il primo prodotto del capoluogo lombardo a ottenere l’IGP (indicazione geografica protetta). Chi non ama uvette e canditi invece sceglierà senza dubbio il pandoro della tradizione veronese, ma attenzione, sia panettone sia pandoro sono delle autentiche bombe caloriche, soprattutto se accompagnati dal classico spumante per l’immancabile brindisi. 100 grammi pandoro in genere apportano intorno alle 413 kcal, mentre per il panettone si va dalle 335 kcal, per quelli semplici, fino ad arrivare alle 480 kcal per i più farciti.
Un altro dolce tipico di Natale, che dalla tradizione cremonese ormai si trova su tutte le nostre tavole, è certamente il torrone. Questo dolce ha origini antiche, documentate per la prima volta in occasione delle nozze di Bianca Maria Sforza a Cremona nel 1541, anche se il largo utilizzo di miele nella sua preparazione abbia fatto pensare ad alcuni gastronomi che il torrone abbia addirittura origini arabe. Certamente si sa che nel medioevo era diffuso il consumo di un dolce a base di mandorle zucchero e miele, che i pasticceri cremonesi nel XIV secolo personalizzarono con l’aggiunta di chiara d’uovo. L’antica ricetta del torrone dunque si basa su di un composto di miele, zucchero, albume al quale vengono aggiunte le mandorle e le nocciole tostate. Questa ricetta ha poi subito numerose varianti, tra cui quella più golosa (e pericolosa per la nostra linea) è quella che prevede la copertura del torrone con il cioccolato, rigorosamente fondente. Per quanto riguarda il suo valore nutrizionale, si può dire che il torrone sia un alimento completo, in quanto unisce agli zuccheri tutte le proteine dell’uovo e le mandorle che contengono acidi grassi insaturi e una buona dose di Ω3. Certo come sempre non bisogna eccedere, soprattutto se lo si consuma dopo pranzi e cene che già di per sé sono ricchi e pesanti. Ricordiamoci che 10 grammi di torrone, che per intenderci equivalgono più o meno a una barretta di quelle comunemente commercializzate, danno circa 40 cal o 50 se con cioccolato. Un torrone alla mandorla apporta all’incirca 500 kcal per etto di prodotto. Il torrone, anziché al termine del pasto, risulterebbe più indicato come “rompidigiuno” proprio per la sua densità calorica e gli zuccheri semplici disponibili:
energia a portata di mano.