Filo Diretto

La lotta dell’ospedale di Alessandria contro l’Alzheimer, tra ricerca e assistenza ai pazienti

All’AOU di Alessandria cresce l’impegno contro l’Alzheimer con un approccio integrato che unisce ricerca, psicologia e assistenza ai pazienti

La lotta dell’ospedale di Alessandria contro l’Alzheimer, tra ricerca e assistenza ai pazienti

Ospite nel nostro programma Filo Diretto il dottor Antonio Pepoli, psicoterapeuta e psicologo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Alessandria specializzato nella ricerca e nella cura contro l’Alzheimer.

Ricerca e cure ad Alessandria

La lotta all’Alzheimer passa sempre più da una diagnosi precoce e da strategie riabilitative mirate. All’ospedale di Alessandria, da anni punto di riferimento nella psicogeriatria, è attivo un ambulatorio di neuropsicologia che consente di intercettare i primi segnali di fragilità cognitiva.

Il lavoro coordinato da specialisti come il dottor Antonio Pepoli punta a combinare valutazioni cliniche, supporto psicoterapeutico e percorsi di stimolazione cognitiva. Questi programmi, spesso condotti in gruppo, integrano esercizi di memoria, discussioni guidate, rilassamento e attività motivazionali. L’obiettivo è mantenere attive le funzioni residue e ritardare la progressione della malattia.

I dati scientifici confermano l’efficacia di questo approccio: studi paralleli del CNR mostrano che i pazienti seguiti con protocolli strutturati presentano un rischio significativamente ridotto di evolvere verso Alzheimer conclamato. Accanto alle terapie farmacologiche, quando necessarie, cresce così il valore delle pratiche riabilitative e psicologiche, che restituiscono anche fiducia e sostegno alle famiglie coinvolte.

L’esperienza alessandrina dimostra come la ricerca applicata direttamente al letto del paziente possa trasformarsi in una concreta opportunità di cura e di qualità della vita per chi affronta la sfida delle demenze.

Stili di vita e prevenzione

Gli specialisti sottolineano in particolare il valore della socializzazione e dell’intimità affettiva. Studi longitudinali hanno dimostrato che la qualità dei legami personali rappresenta uno dei fattori più protettivi. Non meno rilevante è l’alimentazione: ad Alessandria è in corso una sperimentazione che utilizza acidi grassi a catena media al posto di parte dei carboidrati, una strategia che sembra migliorare il metabolismo cerebrale e ridurre processi infiammatori.

A tutto questo si aggiungono attività cognitive diversificate, hobby, interessi nuovi e la capacità di mantenere viva la motivazione anche nell’età avanzata. Un impegno costante che non solo arricchisce la quotidianità, ma rappresenta anche una forma concreta di prevenzione.

La sfida è culturale oltre che sanitaria: costruire comunità in cui anziani e famiglie siano supportati nel mantenere attivi mente e relazioni. Perché, come ricorda la ricerca, il cervello è plastico e può trarre beneficio da stimoli positivi in ogni fase della vita.

Alzheimer e nuove fragilità digitali

Se fino a pochi anni fa le demenze erano viste esclusivamente come una conseguenza biologica dell’età, oggi gli specialisti riconoscono il peso crescente di fattori sociali e ambientali. Tra questi spiccano l’isolamento e l’uso massiccio dei dispositivi digitali, che modificano il modo in cui il cervello riceve e rielabora gli stimoli.

Il problema riguarda in particolare gli anziani, meno capaci di adattarsi ai nuovi ritmi imposti dalla tecnologia. Lo “scrolling” continuo sui device, fatto di stimoli rapidi e frammentati, non permette di consolidare memorie durature né di generare piacere ed emotività, elementi fondamentali per mantenere attive le funzioni cognitive. A ciò si somma la solitudine, accentuata anche dal periodo pandemico, che ha reso più evidenti i rischi legati alla mancanza di contatti diretti.

Per i giovani, il cervello ancora plastico trova nuove strategie di adattamento, seppur a costo di stress e difficoltà emotive. Ma per le generazioni più anziane l’impatto è molto più pesante: il rischio è quello di un declino accelerato della memoria e delle capacità cognitive.

Ecco perché programmi di gruppo, attività condivise e stimolazioni sociali mirate diventano strumenti fondamentali. L’Alzheimer, dunque, non si combatte solo con farmaci e terapie, ma anche ripensando il modo in cui viviamo e interagiamo nella società digitale contemporanea.