Il ricordo di Pinuccia Rocca e Daniel Turco, uccisi un anno fa a Rivalta Bormida
I familiari: "Il loro ricordo non deve perdersi nel silenzio. La loro vita, spezzata dalla violenza, ci interpella tutti: famiglie, istituzioni, comunità"

Giuseppina Rocca, 66 anni e il figlio Daniel, 44enne costretto su una carrozzina da circa vent'anni in seguito a un incidente in moto, sono stato uccisi un anno fa a Rivalta Bormida per mano dell'ex marito e padre Luciano Turco. I familiari di Giuseppina e Daniel hanno deciso di ricordarli con una lettera che pubblichiamo qui di seguito.
Un anno senza Pinuccia e Daniel
È passato un anno da quel pomeriggio che ci ha strappato Pinuccia e Daniel, lasciandoci un vuoto che nulla potrà colmare. Un anno da quella notte che hanno passato soli, chiusi nella loro abitazione, senza vita, senza la speranza di essere soccorsi, senza una carezza, senza la nostra presenza. È stato un anno di profonda tristezza, di rabbia, di senso di impotenza. Un anno in cui abbiamo cercato giustizia, ma soprattutto un significato a una tragedia che resta incomprensibile e inaccettabile.
In quel pomeriggio d’estate sono stati uccisi una donna amorevole e un giovane uomo che la vita aveva già messo a dura prova. Con l’arrivo di una nuova estate, gli stessi profumi, gli stessi suoni e gli stessi colori riportano alla mente ricordi dolorosi, facendoci rivivere l’angoscia di allora. È difficile arrendersi alla parola “fine” che la morte impone, perché a noi sembra ancora di sentire Pinuccia e Daniel vicini, pronti a tornare da un momento all’altro.
Così vogliamo ricordarli: pieni di vita nonostante le difficoltà, uniti da un legame forte e inseparabile.
Pinuccia era una donna sicura di sé ed affascinante, molti dicevano che avesse un carattere forte, ma non sapevano quanto le fosse costato e lei ne andava fiera.
Ha fatto molti lavori per mantenere lei e suo figlio, per un periodo ha gestito anche un bar molto conosciuto nel nostro capoluogo di provincia e negli ultimi anni era collaboratrice scolastica nella scuola dell’infanzia di Rivalta Bormida, il paese in cui viveva.
Daniel aveva 44 anni, quasi un metro e novanta di dolcezza e testardaggine, un gigante buono a cui piaceva giocare a carte, guardare i film di Bud Spencer in TV e uscire di casa per farsi portare in giro e incontrare le persone, ma più di tutto amava la pizza, sopra ogni cosa; era disabile dall’estate del 1999, quando un incidente in auto gli ha tolto la possibilità di camminare e di comunicare come prima.
Negli ultimi 25 anni avevamo imparato a convivere con questo cambiamento anche se non avevamo mai smesso di lottare per dargli sempre nuove opportunità, infatti se non fossero stati uccisi, sarebbero partiti per Veruno; è buffo come ormai per la nostra famiglia i nomi di città venissero associati direttamente alle cliniche di riabilitazione o agli ospedali, la vita ci aveva cambiato le carte in tavola in un secondo e non abbiamo potuto fare altro che adattarci.
La nostra famiglia è molto unita e dopo l’incidente di Daniel abbiamo passato momenti davvero terribili, ma se ci aveste visto seduti intorno a un tavolo, non lo avreste detto, perché ci piaceva ridere e scherzare come se la vita non ci avesse tolto nulla.
Quello che ci manca di più è sentire le loro risate, mescolate alle nostre.
Raccontare di loro significa custodire ciò che erano, i loro gesti quotidiani, i loro sogni, le loro passioni.
Il loro ricordo non deve perdersi nel silenzio. La loro vita, spezzata dalla violenza, ci interpella tutti: famiglie, istituzioni, comunità. Non si tratta soltanto di piangere una madre e un figlio, ma di trasformare il dolore in responsabilità.
È quello che stiamo cercando di fare, insieme al Centro Antiviolenza me.dea e con il coinvolgimento della comunità di Rivalta Bormida. Abbiamo promosso raccolte fondi e nel prossimo futuro vorremmo coinvolgere anche la fascia di età più giovane, perché la memoria diventi educazione, consapevolezza e cambiamento.
Sogniamo un paese che non dimentichi, che sappia fermarsi di fronte a queste tragedie e dire con forza: “Mai più”. Perché ogni femminicidio non è un fatto isolato, ma il sintomo di una ferita profonda che riguarda tutta la società.
Solo così il ricordo di Pinuccia e Daniel non sarà vano: diventerà una forza viva e vitale, capace di guidarci nella costruzione di una comunità più giusta, più attenta, più capace di proteggere.
I familiari di Pinuccia e Daniel